“Qui la Chiesa scomparirà”: la lettera (profetica) di Dossetti sul Medio Oriente

| Cultura

Per la rivista Egeria sta per uscire un numero monografico su ‘Giuseppe Dossetti e il Medio Oriente’. Perché una riflessione collettiva su questo tema? Infatti, per molti Dossetti risulta noto per l’impegno resistenziale, quello costituzionale, per il lavoro giuridico e per quello nei primi anni della Democrazia Cristiana; diversi lo ricordano per l’impegno di resistenza costituzionale nel biennio ’94-’96, qualcuno lo ha presente come figura e/o simbolo fonte di discussioni in ambito politico ed ecclesiale. In un contesto ben più ristretto si è a conoscenza della sua passione – simile a quella dell’amico Giorgio La Pira – per le questioni mediterranee e in particolare per i nodi medio-orientali. Passione radicata nella scelta – all’inizio degli anni ’70 – di andare a vivere con la propria comunità prima a Gerico, in territorio palestinese sotto occupazione israeliana, poi negli anni successivi a Maìn (Giordania) e Ain Arik (Palestina). Proprio lì la capacità di lettura politica, combinata con un intenso lavorio interiore e con un ascolto attento di quelle terre e di quei popoli, ne hanno fatto un osservatore non distratto dei movimenti profondi di quel settore della nostra terra. In questi giorni in cui si assiste da mesi al dibattito sui profughi e in cui si sono da poco ascoltate le notizie dei recenti attentati di Barcellona e di Londra insieme con quelle drammatiche che provengono da molte zone medio orientali, può essere utile prestare attenzione ad alcune riflessioni che Dossetti ha proposto all’inizio degli anni ’90.

In una lettera comparsa anonima su Il Regno Attualità del 15 ottobre 1990 dal titolo Qui la Chiesa scomparirà, Dossetti – ormai da diversi anni in Medio Oriente, dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale, nella politica italiana e come protagonista del Concilio Vaticano II – scrive alla vigilia della prima guerra del Golfo nell’autunno del 1990. Egli, a partire dalla vita concreta della sua comunità in Palestina, Israele, Giordania e nei paesi arabi avverte che si tratta di una “guerra di bugie” e sente la responsabilità di risvegliare l’attenzione sulla posta in gioco dal punto di vista politico, umano e religioso.

“È da rilevare – così incomincia la lettera – la grande ingiustizia rappresentata dal fatto che, di fronte a tante occupazioni e aggressioni indebite, solo questa volta il Consiglio di sicurezza dell’ONU abbia trovato concordi tanti paesi nell’applicare sanzioni di tale gravità da portare alla guerra”. Per Dossetti emerge chiaramente che l’unica ragione dell’attacco è in definitiva il petrolio che già da tempo è stato “rapinato a man bassa dagli occidentali, attraverso la complicità di alcuni principotti, che pur di avere assicurata a loro stessi […] una ricchezza da nababbi, lasciano rapinare la loro terra e il loro popolo”. L’intervento militare potrà entrare, per l’autore, nella coscienza di questi popoli – e di altri, in Asia ed Africa – e produrre tumultuose “reazioni che nessuno sarà più in grado di dominare”. Egli comprende che si sta giocando come degli apprendisti stregoni con forze che non si sapranno davvero dominare. Non solo. Tutto questo avverrà nel segno di “un sentimento generale di sdegno e ribellione” che verrà condiviso da tutti contro l’occidente e, soprattutto, contro l’America. A questa disamina Dossetti aggiunge un passaggio che, letto una ventina di anni dopo, appare impressionante per la sua capacità di lettura e pre-visione storica: “L’islamismo radicale aveva bisogno di questo e ne trarrà vantaggio. Anche se Saddam Hussein fosse eliminato, l’occidente si troverà di fronte un islamismo radicale più difficile da combattere e ideologicamente più inestirpabile, sia nei paesi musulmani che nell’Europa stessa”.

L’ormai vecchio politico abituato a pensare, come diversi della sua generazione, per sistemi, per connessioni storiche di lungo periodo, su quadri geografici dilatati, ed in maniera libera da condizionamenti di parte, è consapevole delle tensioni e delle passioni profonde capaci di animare gli uomini e i popoli. In forza di questa modalità sintetica di lettura degli eventi, traccia alcune delle possibili parabole e conseguenze delle azioni che stavano per essere intraprese, conseguenze che sono poi risultate confermate e aggravate negli anni successivi. Lo stesso senso simbolico dei gesti di guerra viene rievocato con precisione: “Il fatto che la prepotenza americana abbia costretto tutti i paesi, ormai vassalli, ad associarsi all’impresa, ha dato alla medesima un marchio di universalità che rievoca per tutto il mondo orientale la qualifica e il ricordo delle crociate, con tutto quello che ne segue: il ricordo degli eccidi e dell’intolleranza. Ma questo ricordo suscita anche nei musulmani la bellissima ed eccitante speranza che il trionfo degli occidentali sia effimero, come è stato effimero quello dei crociati”. E continua: “Costantinopoli, saccheggiata e bruciata nella quarta crociata del 1204, sarà come un’ombra sinistra costantemente evocata a tutta la Siria, all’Egitto stesso e poi a tutto il resto dell’Africa. Tutto questo riaccenderà l’intolleranza già presente contro i cristiani nell’alto Egitto”. In questo quadro, nella sua analisi, la situazione dei cristiani in queste zone risulterà aggravata e vi sarà il rischio – che oggi vediamo in pieno confermato – di molteplici persecuzioni e dell’estinzione della Chiesa araba in vasti territori del medio oriente. La lettera terminava con l’invito – disatteso – al governo Andreotti e ai governanti italiani a dissociarsi dall’impresa di partecipare alle operazioni di guerra in Iraq e Kuwait e constatava l’assenza di coscienze morali davvero vigili in posizioni di responsabilità. La storia successiva è nota e ha conosciuto un peggioramento progressivo della situazione. Basti pensare alla moltiplicazione indiscriminata e non controllabile di attentati in ogni parte del mondo, alla guerra in Afghanistan e alla successiva seconda disastrosa guerra in Iraq, del 2003, basata su motivazioni inconsistenti che, recentemente, alcuni degli stessi protagonisti o commissioni d’indagine – come quella inglese del rapporto Chilcot: The Iraq war inquiry – hanno riconosciuto come pretestuose e come cause di ulteriore destabilizzazione.

Dossetti ribadisce, un anno dopo la lettera a Il Regno, tale lettura della gravità del momento storico e della esiguità delle coscienze lucide in un’occasione apparentemente altra: la commemorazione del contributo del cardinale Giacomo Lercaro al Concilio Vaticano II. Qui, nella sezione finale in cui tratta del problema della pace in Concilio, fa un eloquente paragone tra la solitudine istituzionale di Papa Giovanni XXIII e quella propria degli appelli papali di Giovanni Paolo II in occasione delle recenti vicende mediorientali: “Quanto alla pastorale educativa sulla pace prescritta dal Concilio, per tutto il popolo di Dio – se si eccettua l’indefesso insegnamento del Papa al riguardo – non ha trovato un consenso e un effettiva assunzione di responsabilità proporzionate all’immensa importanza della cosa. Anzi in molti casi, nello spazio e nel tempo, ha incontrato pareri e atti discordanti, all’interno della stessa Chiesa” e sottolinea con decisione che: ”L’esempio più clamoroso è stato proprio quest’anno, quello della guerra del Golfo. Gli accoratissimi e reiterati appelli del Pontefice non hanno scosso l’opinione pubblica soprattutto dell’occidente, rimasta come affascinata da una propaganda ossessiva dei media in favore della guerra. […] Perciò in questi mesi dolorosissimi noi più vecchi ci siamo ricordati di quello che è stato l’isolamento istituzionale, vissuto all’interno della Chiesa, da Papa Giovanni XXIII [….]”. Il discorso si sviluppa con documentate e circostanziate considerazioni, evidenziando l’assenza di comprensione dell’enorme posta in gioco della (prima) guerra del Golfo sia da parte dei responsabili dei popoli sia da parte di diverse assemblee e responsabili ecclesiali.

Ripercorrere oggi le considerazioni di Dossetti è certo importante per la consapevolezza storica e per la comprensione di eventi le cui conseguenze destabilizzanti giungono ai nostri giorni: fino ai molti profughi in fuga dal medio oriente e dalle zone del centro Africa, alle questioni sollevate da un ingestibile islamismo radicale e a quelle legate ad una più che discutibile politica estera dell’occidente. Ne risulta un’importante lezione di comprensione storica delle vicende. Lezione fatta di: osservazione attenta e non superficiale dei fenomeni nella connessione tra locale e globale, lettura – libera da convenienze – degli eventi, considerazione acuta delle connessioni e delle forze – politiche, economiche, simboliche, religiose e umane – in gioco, valutazione non ingenua e non provinciale delle conseguenze delle azioni sui tempi lunghi, assunzione di responsabilità storica rispetto al proprio – non delegabile – compito dell’operare per la pace.

Fabrizio Mandreoli

Classe 1972, Bologna, collabora in diverse attività giovanili, ha lavorato nel carcere di Bologna, ha studiato teologia e storia del pensiero teologico a Bologna e Milano, ha approfondito gli studi di storia, filosofia e lingue a Francoforte, Boston e Gerusalemme. Si occupa di varie questioni educative ed insegna storia della teologia e teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna. Ha pubblicato diversi testi monografici, traduzioni e articoli.