Nella mente del terrorista. Sadici e violenti alla ricerca di un dio da servire

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I corpi straziati sulle ramblas. L’indicibile mattanza perpetrata ai danni degli ignari passanti che transitavano sulla promenade des Anglaisil barbaro sgozzamento del sacerdote francese, la ferocia con la quale un ragazzo cerca di tagliare gole su un treno e altri episodi ancora, ripropongono l’antica questione dell’uso della ‘religione’ ( o per meglio dire l’espunzione di quei paragrafi particolarmente violenti incisi in tanti libri sacri) come strumento per dare forma e sfogo a pulsioni umane violente e ancestrali, sepolte negli anfratti della storia dell’individuo, che cercano in codici sociali riconosciuti uno sbocco per uscire dalle profondità e dare un senso, ancorché tragico, a vite banali e spesso disturbate, dedicate in gran parte alla ruminazione dell’odio.

La psicoanalisi oggi può essere di aiuto nel leggere eclatanti fenomeni sociali, come i fondamentalismi religiosi e le azioni violente che questi partoriscono. Come Eichmann ha dimostrato, il perverso sadico meglio di tutti declina la sua vita come soldato obbediente alle direttive dell’Altro, senza volontà che non sia quella del sistema di valori verso il quale si pone come docile strumento. Dunque capace di atrocità inaudite per le quali non prova alcun senso di colpa perché, come un Golem, percepite come ordini da eseguire. Come i sanguinari terroristi che seminano l’angoscia e la morte in tutta Europa

Leggiamo così, oggi, il diffuso utilizzo della ‘religione’ come strumento per dare forma all’odio personale. La ‘professione di fede’ oggi è un autobus sul quale trovano un passaggio feroci e lucide personalità perverse, capaci di tramutarsi in micidiali macchine di morte qualora scorgano in qualche Dio, o qualche cattivo maestro eletto a guida spirituale, quegli stessi inconfessabili desideri di dispensare morte e infliggere dolore a terzi che non avevano trovato diritto di cittadinanza in alcun luogo, se non nei meandri del loro animo. Parliamo di un tempo nel quale la presenza del ‘fondamentalismo’, enorme contenitore ormai privo di contorni definiti tanto da poterci ficcare dentro ogni nequizia che l’animo umano possa produrre, non è solo funzionale all’autoassoluzione di tanti carnefici che cercano in un altrove un senso a vite disgraziate, ma al contempo serve alla società ‘civile’ per poter inquadrare dentro una cornice ben precisa espressioni dell’animo umano che inquietano per la loro ferocia e la loro inclassificabilità. ‘Ah!, si era radicalizzato nelle ultime due settimane, ecco!’…, frasario consolatorio, speso ovunque e inflazionato proprio come l’adagio ‘ha ucciso moglie e figli? Ma da tempo era in cura per qualcosa, da qualche parte…’

Lasciamo per un attimo da parte Dio, o Allah, e proviamo a leggere la questione usando la clinica, per quanto limitatamente possibile, come asse portante dell’agire umano. Una lettura preliminare delle vite di Omar Mateen, l’autore della strage di Orlando nella quale vengono falciati 49 uomini scelti per il loro orientamento omosessuale, e di Mohamed Lahouaiej Bouhlel alla guida del camion a Nizza, ci consegna due uomini banali: un livido manesco con la passione per la palestra e il suo viso autofotografato il primo, (la cui descrizione forse più veritiera è stata fatta dalla moglie, malmenata abitualmente, quando lo descrive come ‘bipolare’, capace di picchiarla anche solo ‘per il bucato fuori posto’), un uomo alle prese con problemi personali alle spalle, una vita destinata a fare capolino nel nulla, dopo una separazione e con precedenti penali il secondo. Per Mateen, che poco prima di imbracciare le armi chiama il 911 e dichiara fedeltà allo Stato islamico, era la femminilità, ma anche l’uomo che bacia un altro uomo, quell’indicibile che ha fatto detonare in lui qualcosa che giaceva sepolto da tempo. Qualcosa di inassimilabile, incollocabile. Per il carnefice nizzardo era forse la vita in sé, sfuggitagli di mano da tempo, l’elemento da odiare. In entrambi i casi si tratta di crimini come estrema deriva di animi violenti capaci di colpire nemici resi minacciosi dal tempo e dalla ruminazione malmostosa, cuori sadici, per definizione pietrificati, finalmente felici di far vibrare d’angoscia e terrore quei mondi per loro fonte di enigma da chissà quanto tempo, la comunità omosessuale nell’un caso e la vita libera nel secondo, potendo contare su una loro personale interpretazione non di un testo sacro (Bouhlel era assai lontano dall’Islam, sappiamo oggi), ma sorretti dalle frasi ridondanti di un qualche autonominato califfo che incita a uccidere con qualsiasi mezzo qualunque cosa emani vita.

Farsi interprete non già del messaggio complesso di un’autorità o di un Dio, bensì ricercare nelle sue righe quelle tracce di odio che fanno brillare in maniera assonante quelle medesime parti violente da tempo stoccate ma ancora pronte a detonare, ora finalmente libere per un’autorizzazione che si ritiene concessa.

Il reverendo Anderson, l’esorcista della serie ‘Outcast’, confessa di aver cercato nella parole del proprio Dio il modo per appagare il proprio narcisisimo:
‘So di aver detto che faccio la tua volontà, Signore. E’ quello che ho detto alla mia congregazione. E’ quello che ho provato a dire a me stesso.
E’ una bugia Signore, l’ho fatto perché mi piaceva. 
L’attenzione, le lodi, la sensazione di potere. Il tuo potere’.

Consiste in questo la natura golemica del perverso, un essere dormiente e incapace di possedere una propria volontà, se non quella del padrone, che dal posto che egli gli assegna, lo sveglia e lo rimette a dormire quando il suo compito è finito.

Ecco allora la grande autostrada sulla quale psicopatici, soggetti paranoici con tendenze omicide, misogini picchiatori di mogli, sessuofobi, odiatori della vita, figli residuali delle ‘generazione zero’ delle banlieues, si incamminano, certi di scorgere all’orizzonte un traguardo che possa ospitare anche loro sul podio dei premiati. Per costoro poco importa che sia una gradino ottenuto col sangue di altri, con l’odio come propellente. L’uso strumentale di un Dio, qualsiasi esso sia, oggi è dunque uno dei canali preferiti per la fuoriuscita di queste zone nere dell’animo umano.

Ve lo ricordate Breivik, il mostro del nord Europa, il serial killer che ha scambiato l’isola di Utoya per un qualsiasi parcheggio di un qualunque ‘Mall’ statunitense dove sparare alzo zero sui passanti? Sano di mente e condannato a una pena da molti ritenuta mite. Un pluriassassino cinico e feroce, con evidente struttura paranoica, una macchina con una facilità impressionante di passaggio all’atto, privo di qualsiasi brandello di senso di colpa, con la delirante convinzione di essere depositario di un qualche ruolo messianico di ‘pulizia’ dell’Europa da ogni infiltrazione barbaro islamica.

Himmler era un commerciante di vini, Heichmann un uomo che sarebbe rimasto confuso nella folla per tutta la sua vita. I piccoli boia della guerra di Jugoslavia sono stati per anni banali cittadini malevoli gonfi di odio. Hanno seguito la scia di individui certamente paranoici e assassini, che hanno però incarnato alla lettera e ingrandito come con un pantografo i loro più bassi, veri e nascosti istinti di odio.

Non si tratta di guerre di religione, arma comoda messa in mano agli estremisti. Più che il volere di Dio, sono le profondità abissali dell’animo umano ad essere in questione.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi