Essere “divisivo”: tutti i pregi di un utilissimo difetto. Una lezione americana

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La comunicazione è un evento umano, non un fatto meccanico. Se è una materia così refrattaria agli automatismi, è proprio perché riguarda l’incontro tra uomini, come dire quanto di più instabile e imprevedibile ci sia al mondo. Proverbiale, a questo riguardo, quanto disse Henry Ford: “So di sprecare la metà dei soldi che spendo in pubblicità, il problema è che non so quale metà”. Insomma, persino l’uomo della catena di montaggio, simbolo massimo della produzione razionale, davanti al mistero della comunicazione si apriva al dubbio. Del resto è proprio questa natura sfuggente a produrre un continuo bisogno di certezze e far prosperare legioni di guru, ciascuno dei quali portatore dei propri piccoli, fragili, comandamenti.

Non sono pochi i mantra che in questi anni ci sono stati ammanniti come dati di fatto. Uno dei più ricorrenti è quello che sconsiglia la netta contrapposizione all’avversario politico, non a caso spesso ribattezzata negativamente “demonizzazione”. Lo renderebbe vittima, cementando i suoi sodali. Ora, ciò che rende vacua ogni regola in questo campo è la pretesa di validità generale.

Guarda caso, infatti, quello che è considerato il primo spot dell’era moderna in comunicazione politica è proprio un clamoroso messaggio denigratorio. Si tratta del celebre “Daisy Ad”, con il quale Bill Bernbach diede un decisivo contributo alla vittoria del democratico Lyndon Johnson nelle presidenziali del 1964. Il candidato repubblicano dell’epoca, Barry Goldwater, si era dichiarato favorevole all’uso di testate nucleari nel Vietnam nel Nord. Presa di posizione terrorizzante, in piena guerra fredda. Lo spot gli rese pan per focaccia: una bambina sfogliava i petali di una margherita evocando il conto alla rovescia di un’esplosione nucleare. Dopo un appello dalla viva voce di Lyndon Johnson, lo speaker concludeva: “Stavolta la posta è troppo alta per restare a casa”.

Lo scalpore fu tale da consentire una sola messa in onda. La violenta reazione dei repubblicani la rese più che sufficiente, suscitando l’attenzione dei media. Goldwater prima chiese il ritiro dello spot, poi tentò di rettificare le sue posizioni. La sconfitta fu inevitabile: ormai era stato additato come quello dal nucleare facile. E che si fosse trattato di un colpo decisivo lo conferma una scoperta di qualche anno successiva. Tra le carte del Watergate, infatti, emerse un appunto di Nixon, il quale, nella sua lista dei nemici da abbattere usando la macchina federale, aveva incluso proprio l’agenzia di Bernbach: “Hanno distrutto Goldwater nel ’64”, si leggeva, “devono essere colpiti duramente”.

Cos’era successo? Non era la prima volta che degli avversari politici venivano attaccati con violenza. Qui si compiva però il salto qualitativo che andrebbe segnalato ai guru di cui sopra: il legame con la verità. Non si trattava di generico discredito ma di un lavoro di pura informazione. Certo, svolto con le armi spettacolari del linguaggio pubblicitario. Ma non arbitrario, anzi radicato nell’esperienza quotidiana.

Significativo il botta e risposta tra le pin di quella campagna elettorale. Se i supporter repubblicani sostenevano le tesi di Goldwater dicendo “dentro di te sai che ha ragione”, i democratici rispondevano “nel tuo cuore lo sai che è matto”. Si trattava, dunque, di ciò che si sapeva, ciò che era noto e discusso. La materia prima era la verità.

 

Curioso che, in questi tempi nei quali l’aggettivo “divisivo” sembra assurto a difetto principe, non si tenga conto del fatto che in comunicazione marcare la propria posizione è essenziale. Fu lo stesso Bernbach a dirlo: “Se prendi posizione nei confronti di qualcosa, troverai sempre chi è con te e chi è contro di te. Se non prendi posizione su nulla, non avrai mai nessuno contro, e nessuno con te”. In un mondo privo di regole, questo principio non è ancora stato confutato.

Giuseppe Mazza

Copywriter, dopo dieci anni in Saatchi&Saatchi e Lowe Pirella ha fondato Tita, la sua agenzia. Dirige Bill Magazine, la rivista italiana di studi sul linguaggio pubblicitario. Ha pubblicato "Bernbach pubblicitario umanista" e "Cose Vere Scritte Bene" (Franco Angeli). Ha scritto per Cuore, Comix, Smemoranda, Il Venerdì.