La fine del liberismo: un cambiamento d’epoca in tanti piccoli segnali quotidiani

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Uno dei pochi che sembra averlo capito è papa Francesco: ciò che stiamo vivendo in questi anni sbagliati, e anche parecchio bugiardi, non è un’epoca di cambiamento bensì un cambiamento d’epoca.
La stagione del neo-liberismo, infatti, con la sua massiccia dose di “sgocciolamento”, “disuguaglianza creatrice” e altre espressioni infernali con le quali abbiamo devastato il mondo, giocandoci l’avvenire di almeno tre generazioni, volge al termine per manifesta insostenibilità.
Volete qualche esempio? Ricordate l’irrisione cui la grande stampa liberal, in Italia e non solo, sottopose il povero Sanders, reo di definirsi socialista in un Paese in cui già la parola “liberal” è utilizzata in senso dispregiativo e sottintende l’accusa infamante di essere comunista? Ebbene, questo vecchietto del Vermont (uno stato che, se fosse una regione italiana, sarebbe il Molise), in cui spesso sono più i ghiacci che agli abitanti, questo vecchietto terribile, con poche parole d’ordine chiare ed evocative, ha conteso fino alla fine la nomination democratica a Hillary Clinton. E Dio solo sa quante mani e quanti gomiti si stiano mordendo i democratici d’oltreoceano al pensiero che con Bernie avrebbero vinto in maniera agevole mentre, con la candidata predestinata e prediletta da tutti i giornaloni, si sono ritrovati alla Casa Bianca un tycoon che sta smantellando, passo dopo passo, tutto ciò che di buono aveva prodotto Obama in otto anni di presidenza.
Volete un altro esempio? Prendete un altro “vecchietto”, Jeremy Corbyn. Quando presentò il suo manifesto all’insegna del buon senso, con parole d’ordine di sinistra, volte a smantellare non solo il thatcherismo e il conservatorismo della destra storica ma anche il blairismo insulso e deleterio della falsa sinistra, i soliti noti lo presero in giro, predicendogli la fine del povero Michael Foot. Guarda caso, da qualche settimana, tutti i sondaggi che circolano nel Regno Unito sostengono l’esatto contrario.
Cosa sta succedendo, dunque, nel mondo? Sta accadendo che un modello politico, economico, sociale e di sviluppo abbia miseramente fallito, portando otto supermiliardari a possedere lo stesso patrimonio di quella metà del mondo costretta a vivere con due dollari al giorno, e che i popoli di questa moderna forma di schiavismo non ne possano più. Sta accadendo che questa forma contemporanea di fascismo, con il suo carico di disumanità, sfruttamento ed estromissione dell’essere umano da qualunque discorso riguardante il futuro, non sia più accettabile, come ha ben lasciato intendere il pontefice nel corso della sua predicazione, nella sua enciclica ambientale e nei suoi costanti inviti a costruire un’altra idea di società e di domani. Sta accadendo che persino nel dorato mondo del calcio, ormai, non conti più solo quanto offre questo o quel club bensì conti assai di più quali prospettive offra, in quanto soprattutto i campioni più affermati si sono resi conto che i soldi, specie a quei livelli, sono fin troppi e che la valorizzazione della propria persona e della propria comunità è di gran lunga più importante. Sta accadendo che i giovani, che un tempo sognavano la Cinquecento, la Lambretta o, negli anni della Milano da bere e della società che non esiste (altra squallida espressione della Lady di Ferro), il macchinone sportivo, oggi preferiscano la condivisione dell’appartamento, della bicicletta e finanche dell’automobile, in quanto stanno riscoprendo il valore supremo delle relazioni umane.
Sta accadendo, ed è la lezione principale dello scorso 4 dicembre, che anche la nostra Costituzione sia ormai considerata dai giovani, e non solo da loro, alla stregua dell’ultimo bene comune che ci è rimasto e che, pertanto, sia il caso di provare a migliorarla anziché smantellarla come avrebbe voluto quella non simpatica rappresentanza toscana a proposito della quale l’ex direttore del Corriere della Sera ha parlato di uno “stantio odore di massoneria”. Sta accadendo che trent’anni siano passati e abbiano, sostanzialmente, distrutto quasi tutto ciò che di buono era stato costruito nei quattro decenni precedenti, rendendoci più poveri, più fragili e più soli, ammannendoci un modello sociale iniquo e facendoci sprofondare a un livello culturale che definire infimo vorrebbe dire utilizzare un eufemismo. La vita come un eterno reality show, un “Drive In” senza possibilità di cambiare canale, un Grande Fratello a servizio permanente effettivo che ci fa venire in mente più la distopia orwelliana che la pessima trasmissione che va in onda dal 2000 su Canale 5: questi sono stati i dogmi del liberismo mediatico-politico in salsa italiana e non stupisce, dunque, che la pazienza dell’opinione pubblica sia ormai giunta al limite.
Sta accadendo, in poche parole, che i tutti i miti, i riti, i cliché e le assurdità dell’ultimo trentennio, compresa la deriva a destra di una sinistra che si è smarrita strada facendo, fino ad arrivare al punto di rinunciare a se stessa, stiano cominciando a crollare uno dopo l’altro. E sta accadendo che una generazione per la quale non è stato previsto nulla, nemmeno il diritto ad un minimo di dignità, stia provando a riappropriarsene con i mezzi della buona politica, della passione civile e dell’impegno in prima persona a favore della cosa pubblica.
Nel mio primo articolo per questo magazine avevo riflettuto sul perché un giovane dovrebbe avvicinarsi ad Articolo Uno o, quanto meno, ascoltarne le proposte: diciamo che questi mi sembrano degli ottimi motivi.

Roberto Bertoni

Nato a Roma il 24 marzo 1990. Giornalista free lance, scrittore e poeta. Militante del Pd fin dalla fondazione, lo ha abbandonato nel 2014 in dissenso con la riforma costituzionale e con l'impianto complessivo del renzismo. Non se ne è mai pentito.